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com'era vissuta. Una notte, tornando da una festa, aveva fermato il taxi, era scesa lungo la scalinata
di uno dei numerosi ponti che attraversano il Danubio, e si era - così immagino - adagiata nelle
acque del fiume.
Il suo corpo era stato ripescato solo venti giorni dopo, impigliato in una chiusa. Portava
ancora indosso l'abito da sera. Povera donna! Aveva voluto concludere la sua vita splendidamente,
non pensando, lei così attenta al proprio aspetto, che il fiume l'avrebbe divorata, e che sul suo corpo
di suicida avrebbe infierito anche il bisturi del patologo anatomista.
La casa, con mobili e suppellettili, fu pignorata e messa all'asta per calmare i numerosi
creditori... Di lei mi rimase ben poco: solo alcune lettere in cui era documentata la sua tragica
passione.
Non so che cosa avrei fatto senza i soldi lasciatimi da Tabori. Utilizzai una parte della
somma per deporre una lapide nel  cimitero dei senzanome , dov'era stata sepolta mia nonna. Ma il
resto del denaro non durò a lungo. Alla fine mi ridussi a guadagnare qualche spicciolo facendo le
caricature agli avventori delle birrerie. Quasi sempre, ai pochi scellini che chiedevo in compenso, si
aggiungeva un boccale di birra che non potevo certo rifiutare; e molto spesso, quando a notte fonda
raggiungevo la mia stanza, ero completamente ubriaco - stanco, affamato e ubriaco.
A vent'anni, dopo aver sfiorato il successo, mi sentivo giunto al termine della mia vita. Non
provavo altro che rancore per tutti coloro che mi avevano abbandonato: per i miei genitori, per mia
nonna, e soprattutto per Tabori, che mi aveva lasciato a quel modo, senza neppure darmi una
spiegazione.
Ripercorrevo gli itinerari di un tempo solo per provare un'intollerabile nostalgia. In un anno
la città sembrava cambiata. Ma era passato, dopotutto, solo un anno, mi chiedevo a volte, o il tempo
aveva avuto per me altre mire? La Pension Fischer era ormai completamente disabitata: un vistoso
cartello, al centro della facciata, annunciava gli imminenti lavori di demolizione dello stabile.
Anche al Rote Engel, dove misi piede soltanto una volta, tutto era cambiato: la gestione, i soci;
persino il mio vecchio avversario Strumpfel Lump non c'era più, si diceva che fosse morto - o forse
non era mai esistito. Certe volte arrivavo a dubitare di aver mai incontrato Tabori e la sua scacchiera
prodigiosa (e del resto, chi mai ci avrebbe creduto?), e persino di me stesso: come potevo essermi
lasciato trasportare da tanta passione per un gioco il cui solo pensiero ora mi atterriva?
Una notte, tornato alla stanza in cui alloggiavo, trovai la porta chiusa con un catenaccio e le
poche cose che possedevo ammucchiate sul pianerottolo. Ero in arretrato di quattro mesi sulla
pigione, e l'affittacamere aveva deciso di scegliere la maniera forte. Da quella notte il mio alloggio
fu la strada, e talvolta un asilo notturno, un rifugio per i reietti della città, che apriva solo alle dieci
di sera e chiudeva alle sette del mattino. Per il resto della giornata non mi restava altro che vagare,
senza speranza, per una Vienna splendida e ostile.
Quanto agli scacchi, dal momento della scomparsa del mio maestro non li avevo più toccati,
e temevo anzi che non avrei giocato mai più. Ebbi la conferma di questi miei timori un giorno in cui
mi capitò di entrare in una bettola sul lungofiume. Avevo fame e speravo perciò di trovare, tra gli
avventori, qualcuno disposto a posare per i mici ritratti umoristici. Ma il locale era vuoto, e per
quanto chiamassi nessuno si faceva viva. Fu allora che, guardandomi attorno, vidi su un tavolino, a
pochi passi da me, una scacchiera abbandonata da qualcuno che, andandosene, aveva lasciato i pezzi
sparsi tutt'attorno. Mi feci forza e sedetti a quel tavolo: volevo provare a me stesso che ero ancora
capace di giocare. Ma subito mi accorsi che facevo fatica anche solo a raccogliere le pedine e a
disporle sulle rispettive case, e che una prostrazione mortale s'impadroniva di me, finché di colpo la
stanza si oscurò e attorno a me tutto cominciò a ondeggiare come fosse dipinto su una tenda scossa
da un'improvvisa folata di vento; e in quell'istante gocce di sangue piovvero sulla scacchiera,
disponendosi una accanto all'altra in rapida successione, simili ad esplosioni silenziose. Fui colto
dal panico, mi alzai in piedi di scatto, afferrandomi il volto sanguinante con entrambe le mani, e
scappai dal locale rovesciando tavolo e scacchiera... E da quella volta che non ho avuto più il
coraggio di toccare gli scacchi.
Qui Mayer tacque: voleva vedere infatti quale effetto avesse avuto il suo racconto sui suoi
due interlocutori.
 E Tabori, l'ha più rivisto? .
A parlare questa volta era stato Baum. All'approssimarsi della stazione si era infilato
l'impermeabile, e ora se ne stava seduto sul bordo del suo sedile stringendo la valigetta tra le
ginocchia. La domanda di Baum era stata formulata senza alcun interesse, come un atto di pura
cortesia; Hans non rispose. Baum, del resto, guardava con impazienza dal finestrino, riconoscendo
un paesaggio che gli era familiare. E quando il treno cominciò a rallentare la sua corsa si alzò in
piedi di scatto e aprì la porta scorrevole che dava sul corridoio, dove si erano già messe in fila delle
persone in procinto di scendere.
 Una storia davvero molto interessante commentò ancora Baum, aggiungendo altra sterile
cortesia.  Peccato che io debba lasciarvi. Arrivederci a martedì prossimo disse rivolto a Frisch.
 Vuol dire che mi racconterai il seguito .
Frisch non rispose; levò solo una mano in segno di commiato. Baum barcollò al passaggio
del treno su uno scambio e infilò con decisione il corridoio quando si era ormai in stazione. Lo
videro scendere e passare sotto il loro finestrino, diretto in fretta verso l'uscita.
Il treno riprese la sua corsa, e nessun altro entrò nel loro scompartimento. Hans accostò la
porta che Baum aveva lasciato aperta, e tornò a sedersi, questa volta però sulla poltrona lasciata
libera da Baum stesso, mettendosi così di fronte all'altro come a un avversario, con il fare di chi si [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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